L'utilizzatore di sostanze nocive

L’uomo si veste, si nutre, alloggia perché non può fare altrimenti; ma detto questo, potrebbe nutrirsi, alloggiarsi, vestirsi diversamente da quello che fa. Le giravolte della moda lo dicono in modo diacronico, le opposizioni della gente, in ogni istante del passato e del presente, in modo sincronico”.  Fernand Braudel


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1 - Introduzione

Manca a oggi una teoria generale sul fenomeno “utilizzo di Sostanze Nocive o d’Abuso (1)” che lo affranchi da una singola visione disciplina. Molti studiosi e operatori dell’intervento, afferenti a differenti discipline, concordano nel ritenere che tale comportamento sia determinato da una Dipendenza patologica. Si propone qui al contrario che usare una sostanza nociva non è semplicemente assumerla, cioè non ha a che fare solo con la chimica della sostanza e la biologia di un corpo umano, ma farlo come individuo in un preciso momento storico. Nell’analizzare la scelta di utilizzarla e gli effetti che produce dovranno essere prese in considerazione, sia la dimensione immaginaria, sia quella simbolica, in cui agisce l’utilizzatore, che acquisiranno così un’importanza fondamentale, ben superiore alla Chimica e alla Biologia, al fine della comprensione del fenomeno stesso. 

In questo lavoro si cercherà d’illustrare una costruzione teorica da cui emerge che l’uso di una sostanza nociva, con finalità di Addiction, dipende da un insieme variegato di significati attribuiti a essa dall’individuo utilizzatore e d’aspettative che egli immagina di raggiungere col suo uso.

La Dipendenza, di cui si tratterà qui, ha a che fare con la storia anche inconscia dell’individuo.

2 – Dipendenza … da sostanze

Oggi si parla spesso di Dipendenze Patologiche, contemplando in questo insieme anche comportamenti in cui non è presente l’uso di sostanze nocive (2), perché a livello neuro-biologico sono state scoperte attivazioni cerebrali simili, o più semplicemente perché si è scelto di accomunarle facendo “di tutte le erbe un fascio”.

Le Dipendenze patologiche da sostanze (e a maggior ragione le altre) si potranno considerare simili, solo agli occhi” della Medicina o della Biologia, non nella percezione e descrizione del singolo utilizzatore. Gli effetti sull’individuo, divenuto sensibile ad una sostanza, sono noti ed evidenti agli studiosi, meno, molto meno a chi le usa. Essi lo fanno e non lo sanno! O lo intuiscono, ma non con una consapevolezza piena. La Medicina e la Biologia credono che l’utilizzatore percepisca a pieno, o sappia valutare con precisione gli effetti sul corpo-mente dell’uso di una sostanza, ma il più delle volte non è così, anzi spesso, troppo spesso l’utilizzatore ne ha una percezione, ma confusa e acquisita attraverso l’appropriazione di frammenti sconnessi di sapere medico, resi palesi agli altri in una descrizione spesso stereotipata.

Sapere medico e Sapere dell’utilizzatore si rispecchiano l’uno nell’altro, entrambi paradossalmente estranei all’attività di uso intrapresa e ai relativi effetti intrapsichici nel singolo. Medico e Utilizzatore sono due facce della stessa medaglia entrambi intenti a contemplare l’effetto “oggettivo” di un farmaco, che oggettivo non è.

Esiste certo una condizione iniziale comune nell’uso di tutte le sostanze nocive, che a maggior ragione differenzia la Dipendenza patologica da sostanze dalle altre supposte Dipendenze. L’utilizzatore deve essere in grado di Sentire quella determinata sostanza: questa deve raggiungere le cellule del suo Sistema Nervoso. Questo incontro fra individuo e sostanza non è però mai immediato (come nei topi di un laboratorio) ma sempre mediato da comportamenti, costumi, usanze e leggi, determinate socialmente.

Non è semplice accedere alle sostanze nocive, anche perché la loro assunzione oggi si configura, a differenza di quanto accadeva in un passato anche recente, con tratti sempre più negativi. La Prima Affermazione quindi da condividere è ovvia, ma ugualmente importante: “Chi utilizza una sostanza nociva ha sensibilizzato con un training complesso e rischioso il suo corpo-mente a essa: è diventato Sensibile alla/e sostanza/ e che usa”.

L’esposizione a una Sostanza Nociva determina nell’individuo Sensibile un’attivazione psicofisica specifica della sostanza (eccitazione o rilassamento) e un effetto di piacere. Il considerare piacevole utilizzare una sostanza nociva, presuppone che si sia realizzato per il singolo un preciso nuovo funzionamento dell’apparato corpo-mente. Così che un individuo, che la usa occasionalmente e la trova accettabile, è Sensibile alla sostanza allo stesso modo, anche se non allo stesso grado, di chi ne fa un uso continuato negli anni. A questo diverso grado di sensibilità un variegato insieme di discipline scientifiche ha assegnato progressivamente, ma in modo errato, il nome di Dipendenza patologica da sostanze.

Il DSM (nella forma oggi usuale IV-TR e in quella innovativa V), mediando da un insieme di conoscenze sperimentali tratte dalla Biologia, riconosce come patologico l’uso di alcune sostanze. Fa riferimento a due Criteri maggiori:

  1. Tolleranza: a) Il bisogno di dosi più elevate; b) Un effetto diminuito nel tempo con l’uso della stessa quantità di sostanza.
  2.  Astinenza.

La Tolleranza descrive il fenomeno per cui negli utilizzatori, al trascorrere dei mesi e degli anni, la quantità di sostanza nociva necessaria per ottenere il medesimo effetto aumenta. Rileva una condizione che si determina in ogni organismo, a fronte della presenza continua di una sostanza estranea, ma non letale. E’ dimostrabile a livello empirico, sin dal passato storico. Tuttavia, se c’è Tolleranza, non consegue che l’organismo o la mente umana a esso eventualmente collegata, desideri “di più” detta sostanza o che essa sia più appetibile o che l’individuo, ne avverta maggiormente il bisogno, per funzionare adeguatamente. Si diventa tolleranti a un antibiotico, ma non risulta che ciò sia in sé una Dipendenza.

Il secondo criterio: l’Astinenza, è da intendere come lo sperimentare una serie di disturbi psico-fisici, dovuti a una Reazione Avversa dell’organismo all’assenza di detta sostanza. Non si tratta solo di avere “voglia di assumere”.

L’Astinenza ha una dimensione maggiormente attiva, se confrontata con la Tolleranza, ma rispetto all’appetibilità funge, per usare un termine desueto, come Rinforzo Comportamentale: “Valutato che sto male, se non faccio quella qual cosa, allora la faccio”.

Se questi sono i due criteri, che il DSM propone per definire la Dipendenza da sostanze, se è pur vero che i singoli individui sensibili alla sostanza si espongono a quantità diverse nel tempo, non si può dimostrare che la motivazione iniziale all’assunzione sia determinata dalla Dipendenza stessa, che si manifesterà, secondo questi criteri, eventualmente solo dopo un’assunzione continuata.

La Seconda Affermazione, che si può condividere, è ancora ovvia: “La Dipendenza da una sostanza, se esiste, è un fattore rinforzante, non motivante”. In particolar modo, la paura di entrare in Crisi di Astinenza, è diventato l’alibi, che ogni assuntore di sostanze nocive utilizza, ben ratificato dalla Medicina.

È ben noto che il DSM propone una visione descrittivo, statistica della Malattia Mentale e questo vale anche per la Dipendenza da sostanze! Il binomio Astinenza, Tolleranza nel DSM-IV sembra sostenere di per sé l’azione di utilizzarle, lasciando però inesplicato il modo e la storia con cui le usa è stato agguantato dalle pale di un tale mulino, che una volta attivato può diventare pericoloso, ma che, per restare in metafora, ha bisogno di un vento per muoversi. Che vento attiva il mulino e vi spinge contro l’individuo? È questa la questione cui si deve trovare risposta.

La dipendenza, di cui vogliamo trattare, è quindi qualcosa di differente dalla Dipendenza da Sostanza, come si costruisce nel DSN IV-TR. La Terza Affermazione, da condividere, è meno ovvia delle precedenti. Si vuole qui affermare, che la Dipendenza è un modo particolare con cui l’individuo si relaziona con la realtà, prima ancora che con la Sostanza Nociva.

3 - Come e perché si diventa utilizzatori di sostanze nocive

La descrizione del modo con cui s’inizia a utilizzare una sostanza nociva è relativamente semplice, stabile e comune a tanti, se non a tutti.

  • * La sostanza nociva è un oggetto proibito, che presenta, oggi più di ieri, ma sempre: costi, stigmi sociali anche morali, limitazioni normative etc. che il giovane o il neofita deve superare.
  • * Tutto ciò a fronte di un utilizzo ampio, evidente e apparentemente più libero del medesimo oggetto da parte di individui particolarmente significativi (compagni più grandi, adulti di riferimento) o emergenti nella società (persone ricche, importanti, famose, celebri etc.).

Utilizzare una sostanza nociva in molti individui può essere il segno che si è in grado di compiere un passo evolutivo (che però non è) da una condizione inferiore a una superiore; più precisamente da una condizione infantile a una più adulta, da una condizione limitata, a una più libera (che però libera non è). Non è solo l’assunzione mimica di un comportamento di moda o comune. Se utilizzare una sostanza nociva è un comportamento consentito agli individui “più adulti”, utilizzandola si diventa Più Grandi.

C’è poi un altro elemento, che va considerato: il neo-utilizzatore è ben consapevole che usare una sostanza nociva non è facile: richiede capacità, competenza e resistenza. È duro utilizzarla in particolar modo all’inizio, non è immediatamente piacevole, anzi può essere spiacevole e o pericoloso. Perciò è “da duri” saper utilizzare una sostanza nociva, giacché quell’azione, che s’impara, si situa nel Fare con Fatica e Difficoltà.

Ci vuole impegno per imparare a usare una sostanza nociva, tanto che assumerla diventa per qualcuno un vero e proprio Rito di Passaggio anche se implicito, che consente un elevamento di status. Coll’aderire al rito si manifesta una precisa volontà di essere assimilati al gruppo sociale che lo propone. C’è, da parte del candidato al rito, una volontà d’integrazione, come in chi glielo propone. Sembra manifestarsi una necessità implicita di essere misurati e assimilati a comportamenti, valori intesi come “adeguati”.

Riassumendo, nell’utilizzare una sostanza nociva nel giovane o nel neofita si concentrano varie considerazioni:

  1. La condizione esistenziale che egli sta vivendo è difficile o, come si dice, stressante.
  2. Lo stato di Più Grande è ugualmente stressante, ma se acquisita, essa può far accedere a comportamenti gratificanti e piacevoli, non ultimo la possibilità d’attuare anche impunemente comportamenti negativi.

Ciò accade, perché in certi individui, ed è qui l’aspetto più importante da rilevare, le idee di piacere, di trasgressione e di libertà vanno di pari passo, o per meglio dire, l’idea di libertà si struttura solamente come trasgressione, quindi non c’è libertà senza difficoltà e senza opposizione degli altri, senza fatica, forse anche senza punizione. C’è libertà, non perché si è fatta la cosa che si è trovata giusta per sé, ma la libertà è (per costoro) far cose un po’ diverse, un po’ proibite, trasgressive appunto.

L’essere Più Grande è per il giovane, ma solo per lui, perché una volta adulti è ben altra cosa, chi può fare, consumare, chi ha accesso libero a ciò che vuole e soprattutto agli oggetti proibiti per gli altri. Poiché questi oggetti rimarranno proibiti, negativi, malvagi, se lo sono, ma l’essere Adulti fa sì che a essi in qualche modo si possa accedere. Così credono i giovani …

C’è un ultimo aspetto che deve essere preso in considerazione. L’utilizzare una sostanza nociva è una condizione gregaria, s’impara con altri, grazie all’esempio di altri significativi: ragazzi/ e di poco più grandi o più disinibiti, attraverso un processo più che imitativo, emulativo. Trova così ulteriore conferma l’idea, che si svilupperà più avanti, per cui un trattamento efficace, per superare l’uso di sostanze nocive , dovrà toccare l’identità dell’utilizzatore, l’immagine che egli ha di se stesso, non per farlo approdare a una Non Immagine: “Sono un non-utilizzatore” (3), ma una Nuova Immagine di Sé. E tutto ciò richiederà il suo tempo, anche solo per raccontarlo.

In questa concezione, se la sostanza nociva rappresenta un Eccesso Negativo, cui dover aderire, l’informazione sui danni determinati da tale comportamento non ha un effetto Preventivo, ma di Rinforzo Comportamentale. Non si accede a tale utilizzo direttamente “perché fa male” o perché qualcuno, informando malamente il giovane, “gli fa intendere al contrario che quell’azione è bella”, e neppure si attua da parte del neo-utilizzatore un’emulazione negativa: “Fare il contrario di ciò che è bene”, ma piuttosto ci si avvicina a tale comportamento alla ricerca di una libertà, intesa come trasgressione. Tutto ciò ci fa comprendere come l’effetto iatrogeno non è determinato dalla modalità comunicativa con cui si presentano i danni prodotti dall’utilizzo di una sostanza, ma dalla sua concreta presenza nell’ambiente sociale di riferimento.

4– Una classificazione di utilizzatori

Si scorgono due modi antitetici di usare una sostanza nociva.

1) Chi utilizza una sostanza con una modalità Automatica, che qualcuno definisce sbagliando “da dipendenza fisica”.

  • Questo uso non si manifesta come la risposta a un semplice bisogno organico, che s’innesca nel corpo del utilizzatore, ma è un Nuovo Bisogno. Nel bisogno organico vero e proprio (fame, sete, sonno) la risposta assume forme diversificate, qui invece no. Questo Nuovo Bisogno avrebbe come motto: “Mi manca quel qualcosa che è la sostanza e allora la uso”, ma non si esprime a parole, anzi.
  • L’utilizzare una sostanza qui è un tutt’uno abbastanza indifferenziato e frequente, aldilà del come e del dove, anche se risente di limitazioni dovute all’ambiente. Inoltre il ritmo di uso è sempre influenzato dal controllo che si vuole/ si può instaurare, spesso altalenante, sul comportamento.
  • Ci troviamo di fronte a una condizione che è Irriflessiva e la sostanza diventa una stampella continua nel proprio camminare quotidiano.
  • In questi utilizzatori si manifesta per lo più un livello di Mentalizzazione o Capacità Mentale psicologica bassa (Allen e Fonagy 2008). A domanda diretta sembra che costoro non si siano mai interrogati sul perché del loro usare e neppure della loro possibilità di smettere. Non ci hanno mai provato, al massimo sono stati occasionalmente costretti a farlo. Si può supporre in costoro uno stato di Alessitimia (4).
  • La relazione fra utilizzatori e sostanza si manifesta sempre in una parte attiva di Craving: “Desidero molto utilizzare una sostanza e lo cerco, perché mi fa star bene”, e una parte astinenziale vera e propria: “Quanto starò male se non la uso”. L’opzione attiva da Craving è sempre elevata nell’utilizzatore automatico, anche se egli invece tende a confonderla con l’Astinenza. Va ricordato che il Craving non è Compulsione, giacché è sempre ego-sintonico.

2) Chi utilizza una sostanza con una modalità Reattiva, che qualcuno classifica come “da dipendenza psicologica”:

  •  L’utilizzare una sostanza qui mantiene una dimensione Reattiva ed è attuato e si differenzia riguardo a ciò che accade nel quotidiano. Si esprime con: “Mi è successo/ non mi è successo qualcosa, mi sarebbe utile/ mi merito una dose di sostanza”. La reattività è alle manifestazioni della realtà contingente, che innesca un confronto difensivo con ciò che si desidera/ si teme di essere.
  • A differenza che nella modalità Automatica, qui prevale la ricerca di una condizione di gratificazione nell’utilizzare una sostanza.

Il livello di Mentalizzazione qui è maggiore, il modo con cui si rappresentano la realtà è più evoluto, ma in molti casi fra questi utilizzatori sembra manifestarsi una modalità di Coping Tipo C, caratterizzata da una “scarsa capacità d’espressione dell’aggressività” (Solano 2013). L’aggressività sembra diretta verso se stessi (rivolgimento verso il Sé) e il rapporto con l’altro è sempre segnato da una condizione di sudditanza, dalla ricerca di un momento di fuga gratificante. Una riflessione psico-dinamica, ci fa dire che per costoro l’accettazione di ciò che si desidera non può che essere attuato se non nell’ansia o con preoccupazione.

L’utilizzatore Reattivo sa solitamente perché usa una sostanza nociva, ma non può farne a meno, perché ha paura di essere diverso se smette: di non piacersi più.

5 – Un percorso per Non Utilizzare una sostanza nociva

Se è pur vero che esistono milioni di utilizzatori di sostanze nocive diversi, quanto fin qui esposto, descrive i due modi antitetici di usarle: uno che si è definito Automatico e uno Reattivo, collegati direttamente ad aspetti  del modo di essere cognitivo ed emotivo degli individui che li attuano.

Se così è, non sono tanto le caratteristiche tipiche dell’azione d’utilizzare una sostanza, o la sostanza d’uso prevalente, che ci consentono di inferire da esse un differente tipo di utilizzatore, bensì le cause determinanti tale modo e forma di utilizzo sono strutturali nell’individuo e i modi concreti d’uso ne sono l’epifenomeno contingente. Sembra dunque maggiormente utile distinguere fra:

  1. a) Chi utilizza una sostanza in una ricerca indifferenziata di “un qualcosa” di cui si sente mancante, in un continuo affaccendarsi finalizzato al recepimento della stessa.
  2. b)  Chi lo fa per gestire l’Ansia attraverso Gratificazioni.

S’individua così:

  1. Un Utilizzatore Automatico, che si presenta come personalità o nella forma Distimica o in quell’Alessitimica.
  2. Un utilizzatore Reattivo, che invece usa la sostanza per gestire l’Ansia nelle mille e mille occasioni in cui essa si manifesta. L’Ansia che può essere sia quella di stato, sia quella di tratto.

Alla modalità Reattiva corrisponde un Locus of Control interno, con un’apparente eccessiva responsabilizzazione per la propria salute, che si differenzia dalla modalità Automatica in cui si vede la propria salute delegata ad altre persone (mariti, mogli, amici parenti) o componenti di istituzioni (medici e sanitari in genere).

Non è vero che l’utilizzatore non si cura, bensì si cura male. Si vuol bene, ma “a suo modo”. Si cura con un qualcosa che gli farà male, ma che è per lui piacevole, o che gli dà qualcosa.

Fa male, forse è necessario che gli faccia male. In questo suo curarsi sembra indispensabile che ci sia “qualcosa di negativo”.

Il trattamento, la cura dell’Utilizzatore di sostanze nocive è complesso e implica due momenti:

  • L’individuazione della Storia Emozionale, che ne ha determinato l’uso.
  • La riattivazione dei Percorsi emozionali bloccati o interdetti dall’uso della sostanza.

Il trattamento, per essere efficace, deve prevedere l’analisi e l’intervento sull’insieme complesso delle emozioni che la sostanza nociva gestisce. Vale a dire che, per ottenere una certa efficacia, sarà necessario che l’utilizzatore giunga a una comprensione diretta delle emozioni (e delle esperienze che le hanno originate) che il proprio usare la sostanza seda o attiva. La conoscenza di dette esperienze, non sarà attuata attraverso un’analisi, ma nel far comprendere come nel quotidiano, nelle circostanze concrete, la sostanza sia usata, cosa essa esponga/ celi, e quale rappresentazione di sé sia manifestata e quale nascosta. L’utilizzatore deve ritrovare un altro non punitivo e neppure idolatrato. L’uscita dall’utilizzo di una sostanza nociva passa quindi da una vera e propria ridefinizione di sé.

In molti casi ciò non è possibile, non tanto per la forza chimica della sostanza o dalla Dipendenza che si è instaurata, ma perché l’individuo ha difficoltà a pensare il cambiamento o addirittura ad accettare un aiuto per metterlo in atto. Egli sembra dire: “Non posso essere che così, non riesco a essere in nessun altro modo!”

Il vero obiettivo, complesso, nel trattamento è riportare l’utilizzatore alla condizione desiderante. “Siamo allora passati dal bisogno dell’altro (infantile, istintivo, patologico) al desiderio per l’altro, il che significa un desiderare con l’altro”. Così ci dice L. Irigaray (AAVV 2002). Nel trattamento bisogna rimettere in essere il desiderare.

Bibliografia

AAVV, Senza il bacio del Principe, Ceis e RER, 2002

Allen J.G. e Fonagy P. (a cura di), La mentalizzazione, Il Mulino, 2008

Braudel F., Civiltà materiale, economia e capitalismo (ed. orig. 1980), Einaudi, 1993

Solano L., Fra mente e corpo, R. Cortina, 2013

Note

(1) In questi ultimi anni si è assistito a un allontanarsi dall’uso di Eroina iniettata (che però ora sta riemergendo come fumata o sniffata) per avvicinarsi al consumo d’altre sostanze naturali o di sintesi, proibite dalla legislazione vigente, in grado ugualmente di produrre modificazioni dello stato di coscienza: stimolanti (Anfetamine o MDMA), Cocaina, Allucinogeni e Cannabinoidi in tutte le forme, anche innovative. Si possono individuare fra le possibili sostanze anche molti medicinali, come le Benzodiazepine, con funzione ansiolitica, gli Antidepressivi, gli Analgesici e Antidolorifici (tutti medicinali prescritti anche dagli stessi medici) o anche farmaci di utilizzo veterinario come la Ketamina. Un ulteriore a parte, riguarda quanto si può riferire agli steroidi e alle sostanze atte a migliorare rapidamente le prestazioni agonistiche o sportive in genere. L’alcol, anche a fronte dell’inasprirsi della normativa sull’uso di sostanze stupefacenti, è e resta la maggiore sostanza nociva d’abuso non solo fra i giovani, ma in tutte le altre fasce sociali e generazionali. Ciò è connesso alla sua facile reperibilità.

(2) Il Gioco d’azzardo, gli Acquisti compulsivi, la Dipendenza da Internet, il Sesso compulsivo etc.

(3) Anche se questo può essere un primo obiettivo del trattamento.

(4) L’Alessitimia è un costrutto psicologico che soddisfa i seguenti 4 criteri: 1)